Il rito della “velatio” durante il periodo quaresimale, cioè la velatura delle croci e delle immagini sacre esposte nelle chiese, un tempo, in Sicilia era una tradizione molto rispettata: in particolare, la visione del presbiterio veniva oscurata con un velo o una grande tela dove erano rappresentati temi legati alla Crocifissione, al traporto o alla Deposizione di Cristo nel sepolcro.
Questo grande telo veniva lasciato cadere di botto durante la veglia pasquale, la tradizionale “calata ra tila“, simulando l’apertura del sepolcro, mentre il popolo canta il “Gloria”, le campane suonano e le luci vengono accese.
Ogni parrocchia aveva la sua tela. In base alla ricchezza e all’importanza della chiesa, le scene raffigurate erano opera di importanti artisti o di piccoli artigiani. Purtroppo, insieme alla tradizione, anche molte delle tele si sono perse nel tempo, rinchiuse in qualche ripostiglio delle sacrestie o finite chissà dove.
Il significato del “velare” della tela quaresimale
Quest’anno 2023 nella chiesa degli oratoriani, Sant’Ignazio martire in piazza Olivella, viene riutilizzata la “tela quaresimale” rimasta in disuso per un periodo di tempo che risale almeno al dopoguerra. Il manufatto tessile è usato nella liturgia per coprire il crocifisso e svelare al suo posto il Risorto la notte di Pasqua: «Usus cooperiendi cruces et immagines per ecclesiam ab hac dominica servari potest, de iudicio Conferentiae Episcoporum» (Rubr. in Dom. V in Quadragesima, in Missale romanum, editio typica tertia, 2002).
Svelare, cioè rivelare nuovamente l’immagine del Cristo risorto, richiama la lacerazione del velo del Tempio, che si squarciò nel momento stesso in cui morì Gesù. Quel velo delimitava il Sancta Sanctorum dal resto del Tempio, ovvero la parte più sacra dell’edificio religioso, alla quale il Sommo Sacerdote accedeva solo alcune volte nel corso dell’anno.
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò (Lc 23,44-46).
La lacerazione del velo rappresenta la ritrovata unione tra la Terra e il Cielo, che rende quest’ultimo accessibile ad ogni uomo, grazie al Figlio di Dio venuto nel mondo a mostrare il vero volto del Padre, riconoscibile nel corpo glorioso del Cristo risorto.
Privare la vista delle cose sacre mediante la velatura si percepisce come segno esteriore di mestizia, perché rende amara la contemplazione, mentre esercita l’immaginazione e accresce il desiderio della visione. Mediante questo segno esteriore il cristiano rivive una condizione di conoscenza imperfetta, dunque “velata”, al pari di quella degli uomini dell’antico testamento, ai quali il Padre non si era ancora mostrato nel suo Figlio.
“ra tila” dell’Olivella
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Nel tessuto della tela è rappresentata la deposizione di Gesù dalla croce, realizzata mediante un intervento pittorico tono su tono. Nell’immagine sono raffigurati i personaggi canonici dell’episodio descritto nel Vangelo: Gesù è posizionato al centro in primo piano, circondato dalle “Tre Marie” (Maria SS., di Cleopa, di Magdala), Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo e San Giovanni evangelista. Sullo sfondo si delinea una scena paesaggistica sulla quale spiccano le tre croci nel Cranio. Lungo le fasce verticali della tela sono poste delle bordure con intrecci di ghirlande, ulteriormente incorniciate da decorazioni geometriche che delineano un impianto architettonico e danno alla scena centrale un effetto trompe l’oeil.
L’opera è costituita dall’unione di dodici pannelli verticali di tessuto in cotone azzurro, cuciti a mano. La fascia superiore del manufatto risulta interrotta e altri due frammenti indicano l’esistenza di una parte sovrastante andata persa; era la mezzaluna che copriva l’arco della volta. La tela veniva issata e tenuta appesa con funi assicurate ad anelli metallici, fissate nel sottotetto del presbiterio.
Dopo aver ammirato di primo acchito l’insieme, concentrandosi più da vicino si rileva come l’attuale stato di conservazione dell’opera risenta di più difetti. L’inevitabile usura del tempo si riscontra nella polvere che inaridisce le fibre tessili, pieghe e grinze sono ben visibili, gore di umidità di colore bruno, migrazioni cromatiche e macchie varie, oltre ad alcune lacune e lacerazioni che portano sfilacciamento di trame e orditi. In alcuni casi, in corrispondenza dei degradi, si notano sul retro vecchi tentativi di riparazione con rattoppi piuttosto grossolani.
Oggi un intervento di restauro svolgerebbe, con adeguata attrezzatura e secondo le tecniche più indicate, un’accurata spolveratura, la vaporizzazione della superficie per restituire al tessuto la sua naturale elasticità e idratazione; l’appianamento mediante calore controllato attenuerebbe il segno delle pieghe. Sulle macchie, gore e sbavature si interviene miratamente con specifici solventi.
La tela è visibile i giorni feriali negli orari di apertura pomeridiana della chiesa (16:00-19:00) e il sabato
anche di mattina (8:30-11:30)
Corrado Sedda d.O.